Se Standard & Poor’s taglia il rating del debito italiano, ne risentono anche i mutui per la casa. Infatti, sebbene gli interventi sulla finanza sembrino così astratti e lontani dalla quotidianità di un normale cittadino che decide di comprare una nuova casa, gli effetti si fanno sentire, eccome. «Il cammino al rialzo degli spread applicati da parte delle banche è iniziato già da qualche mese a questa parte», fa notare Stefano Rossini, amministratore delegato di MutuiSupermarket.it, «e si riflettono sulle offerte mutuo».
Secondo una simulazione effettuata da Rossini su un mutuo acquisto casa per 140mila euro e durata 20 anni, da giugno a settembre gli spread tra le migliori offerte sono infatti aumentati mediamente di 10 centesimi per il tasso variabile e di 35-40 centesimi per il tasso fisso. Se poi si prende in analisi un mutuo trentennale a tasso fisso, i tassi a giugno erano dell’1,35 per cento mentre a settembre hanno raggiunto l’1,7 per cento; quelli a tasso variabile, invece, da giugno a settembre sono passati dall’1,35 all’1,45 per cento. La differenza è invece minima nei prestiti decennali perché il rischio di insolvenza per le banche è sicuramente minore.
Ma come si arriva alle tasche del consumatore? Partiamo dal downgrade. C’è stata una riduzione del rating sui titoli italiani che sono diventati meno sicuri di prima e di conseguenza devono poter garantire un rendimento più alto. Considerando che il valore totale del Btp è dato dal prezzo dell’obbligazione più il rendimento, il valore dell’obbligazione sottostante, inevitabilmente diminuisce. Quindi chi ha in portafoglio i nostri Btp è più povero e considerando che sono le nostre banche a detenere la maggior parte dei titoli, diventano, agli occhi delle altre banche a cui chiedono denaro, controparti più rischiose. Succede che le banche, se perdono credibilità, pagano di più la liquidità che raccolgono da altre banche perché il cost of funding, ossia il costo dell’approvvigionamento, aumenta. Tutto questo perché il sistema italiano è debole.
Indovinate su chi si rifanno infine le banche per aver pagato di più il denaro da altri istituti creditizi? Non certo sulle imprese, che possono comunque garantire un livello di solidità maggiore, ma sui piccoli cittadini che chiedono un mutuo per comprare una casa e non si accorgono che stanno pagando il prestito di più di quanto avrebbero pagato qualche mese fa. Rossini spiega: «L’effetto sui tassi finiti, somma dello spread e degli indici di riferimento Euribor per i tassi variabili e Irs per i tassi fissi, non è risultato particolarmente evidente per i nuovi mutuatari solo per il semplice fatto che nell’ultimo mese l’Euribor è diminuito di circa 10 centesimi e l’Irs, Interest rate swap (a 20 anni) è diminuito di circa 40 centesimi (oltre l’1 per cento invece da aprile 2011)». «Sino a che gli indici di riferimento continueranno ad andare in retromarcia», avverte ancora il manager, «l’aumento dello spread sarà assorbito e l’impatto finale per il consumatore sarà limitato. Nel caso in cui nei prossimi mesi si dovesse assistere a un ulteriore aumento degli spread da parte delle banche l’impatto sul tasso finale potrebbe essere sicuramente più evidente».
Naturalmente ci sono anche altri fattori che influenzano il mercato immobiliare, i mutui e in generale l’economia italiana. Secondo Renato Landoni dell’ufficio studi Kìron Spa del Gruppo Tecnocasa, fortunatamente «siamo ben al di sotto del periodo 2009, quando il tasso medio a Gennaio era del 4,79 e a Giugno del 3,64 per cento», ma non bisogna comunque distogliere l’attenzione «dall’andamento del reddito (che è più basso rispetto all’inflazione) e dal tasso di occupazione». Il fatto è che i prezzi delle case - a parte in qualche zona periferica - non accennano a scendere. Misteri tutti nostri.