A giugno il tasso medio a cui le banche hanno concesso i mutui alle famiglie è salito sopra il 2% per la prima volta da quasi cinque anni. È passato dall’ 1,97% al 2,17%, rileva Banca d’Italia nell’aggiornamento dei dati sul sistema bancario. Se invece del tasso “pulito” si considera il Taeg, che include anche tutti gli altri costi che i clienti devono sostenere per ottenere il prestito, l’aumento è stato del 2,27% al 2,37%. Segno che ancora prima dell’effettivo rialzo dei tassi la Banca centrale europea – che il 21 luglio ha portato il costo del denaro da 0 allo 0,50% e a settembre procederà con un secondo rialzo – gli istituti di credito hanno adeguato l’offerta di finanziamenti alla prospettiva della fine della lunghissima fase del denaro a costo zero, durata oltre un decennio.
Non è un passaggio brusco. È da gennaio che, con rialzi più o meno graduali, i tassi di interesse medi sui prestiti salgono mese dopo mese. Accade ai mutui ma anche al credito alle imprese, il cui tasso medio è passato dall’ 1.19% di maggio all’ 1,44% di giugno. È chiaramente solo l’inizio. Siamo entrati in una fase globale di aumento del costo del denaro che mira a contenere l’inflazione ed è difficile prevedere fino a che livello si potranno spingere le banche centrali. Le famiglie e le imprese che stavano valutando progetti di finanziamento hanno accelerato la chiusura dei contratti per evitare ulteriori aumenti. La crescita dei tassi non ha infatti ridotto il volume dei nuovi finanziamenti, che per i mutui si è mantenuto sui livelli dei mesi passati (6,6 miliardi di euro a giugno) e per i prestiti alle imprese è salito al livello più elevato dalla fine del 2020, con 43,7 miliardi di euro di finanziamenti in un mese.
Una dinamica che dovrebbe essersi accentuata il mese scorso, quando gli indici Irs – riferimenti per i tassi dei mutui – sono saliti fino ai livelli di 8 anni fa. Tanto che, come segnalano gli analisti del Crif nella loro Bussola Mutui realizzata con MutuiSupermarket.it, la domanda di mutui ha riscoperto il tasso variabile, che era stato quasi abbandonato negli anni scorsi in cui tutti volevano il tasso fisso per bloccare il costo dei finanziamenti a tassi al minimo storico. A luglio, calcola Crif, quasi un terzo dei mutui richiesti online era “variabile con tetto”: segno che i clienti si aspettano che i tassi non aumentino ancora poi tanto e, anzi, possano anche scendere di nuovo nei prossimi anni. Il “tetto” (o CAP) serve però a contenere gli effetti delle brutte sorprese. Perché lo scenario è imprevedibile. Nel frattempo a luglio, come ha notato il sindacato dei bancari Fabi, i tassi dei mutui sono saliti anche sopra il 3% (la media 2021 era dell’1,59%). «Per le banche potrebbe essere più difficile concedere denaro per l’acquisto di abitazioni, e queto avrà gioco forza una ricaduta sul mercato immobiliare che corre il rischio di ingessarsi» avverte Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi.
Il naturale passaggio successivo, in effetti, è proprio quello: la crescita del costo del credito rende più onerosa l’operazione di acquisto di un’abitazione tramite un finanziamento. L’aumento dei tassi costringerà il mercato immobiliare a una frenata. «La crescita delle compravendite registrate nel 2021 e proseguita nel 2022 potrebbe non ripetersi nel proseguo dell’anno in corso a causa del progressivo deterioramento del clima di fiducia delle famiglie a fronte delle tensioni macro-economiche, finanziarie e geo-politiche» spiega Stefano Magnolfi, responsabile di Crif Real Estate Services, che prevede un calo delle compravendite del 5% nel bilancio dell’intero 2022. Rallenterà anche l’aumento dei prezzi, che in un contesto più difficile in autunno potrebbero anche iniziare a segnare la prime contrazioni dopo i forti aumenti degli ultimi anni.