Ad osservare gli spread che oggi le banche praticano sui mutui sembra, a una prima occhiata, di trovarsi di fronte a un errore di battitura. È mai possibile che il margine lordo (è questo lo spread) che un istituto chiede oggi su un finanziamento ipotecario a tasso fisso sia dello 0,25%? E si tratta, tra l’altro, di un aumento rispetto alla scorsa estate quando nelle migliori condizioni lo spread era praticamente azzerato. Cosa ci guadagna una banca se offre un mutuo a queste condizioni? Fino a quando sarà sostenibile questa leggerezza degli spread? Sono domande che si stanno ponendo tanto coloro che si apprestano a chiedere un nuovo prestito per la casa, tanto quelli che lo hanno già chiesto e (da bravi mutuatari) stanno valutando se sia il caso di surrogare (cioè spostare il contratto presso un’altra banca che offra condizioni migliori in termini di tasso e/o durata).
Per quanto il futuro resti incerto un dato si può dare ormai dare per assodato: gli spread hanno toccato il fondo e nei prossimi mesi/anni non potranno che salire. Tuttavia, e questa è una buona notizia per le famiglie e un po’ meno per le banche, non è affatto detto che la risalita sia rapida e tantomeno corposa. Ci sono diversi fattori, infatti, che stanno frenando gli istituti di credito dall’aumentare il margine sui mutui. A cominciare dall’abbondante liquidità in circolazione immessa dalla Bce negli ultimi anni attraverso un pacchetto articolato di politiche espansive. Tra queste ci sono i prestiti a tasso agevolati (Ltro e Tltro) che andranno in scadenza nel 2020 e di cui le banche italiane sono state - richiedendone oltre 200 miliardi - le prime beneficiarie nell’Eurozona. Da questo punto di vista nessun problema perché la Bce si appresta a lanciare una nuova ondata di prestiti TLtro (ne sapremo di più il 7 marzo quando si riunirà nuovamente il consiglio direttivo e tornerà a parlare ai mercati il governatore Mario Draghi). L’altro fattore che contribuisce a tenere bassi gli spread è l’aumentata competitività del settore. Il tasso di insolvenza sui mutui alle famiglie è sceso sotto il 2%, anche grazie al fatto che le banche - dopo la crisi del 2013-2014 - sono tor-nate ad erogare mutui in modo più oculato abbandonando la politica dello “spread unico” in favore di quella (finanziariamente più razionale) del “pricing differenziato”, andando cioè a praticare spread diversi in base al loan to value, ovvero la percentuale di finanziamento rispetto al valore dell’immobile. Gli spread crescono con il crescere del loan to value, e di conseguenza del livello di rischiosità dell’operazione per la banca.
Liquidità (garantita dalla prospettiva di un proseguio dellla politica monetaria accomodante della Bce), concorrenza e tassi di default ai minimi (grazie anche a un’evluzione dell’offerta) sono le tre ragioni che hanno portato gli spread al tracollo. Ci sono però altri fattori che spingono nella direzione opposta e danno la dimensione che gli attuali spread (soprattutto sui mutui a tasso fisso) sono a lungo andare insostenibili per i bilanci delle banche. A cominciare dall’incognita rappresentata da un altro spread, quello tra BTp e Bund, che condiziona inevitabilmente una parte dei costi della raccolta delle banche. Un anno fa questo spread era a 120 punti, da diversi mesi è stabilmente sopra i 250. A detta dei banchieri al netto del rischio politico il livello dell’economia reale italiana dovrebbe esprimere uno spread BTp-Bund di 150 punti. Non più alto. Questo spread in parte sta condizionando la raccolta. Molte banche preferiscono non emettere bond, consapevoli che pagherebbero un “quid” in più, e quelle che lo hanno fatto negli ultimi mesi hanno dovuto fronteggiare cedole mediamente più alte. Un’altra strategia - che però conferma che i costi della raccolta stanno crescendo - è quella di non emettere bond ma di alzare i tassi sui conti di deposito, facendo leva sul risparmio delle famiglie italiane.
Un altro fattore riguarda i deflussi degli ultimi mesi degli italiani dal risparmio gestito, dalle cui commissioni le banche negli ultimi hanno rimpolpato i bilanci. Se questa fonte di entrata dovesse ulteriormente contrarsi sarebbe difficile ipotizzare che, lato mutui, gli istituti continuino a tenere a freno la redditività. E poi, più in generale, vale la considerazione sul business tradizionale delle banche, che è in fase di profonda evoluzione, proprio a causa dei costi. «I rapporti cost/income delle banche sono da tempo sotto forte pressione e oggi sono diventati elemento di grande attenzione da parte del sistema bancario - spiega Stefano Rossini, ad di Mutuisupermarket.it -. Non a caso, numerosi istituti di credito hanno varato nel corso degli ultimi anni importanti piani industriali di ristrutturazione che hanno riguardato il riposizionamento dell’offerta prodotto e servizi, l’incentivazione all’esodo del personale e il ridisegno e alleggerimento delle strutture distributive, con conversione e chiusura di parte significativa della rete filiali. Ad aggravere la questione - continua - c’è stato l’aumento dello spread BTp-Bund. Il prodotto mutuo chiaramente ne è stato impattato e la reddittività dello stesso è al momento a livelli minimi, se non in alcuni casi risulta addirittura negativa. Difficilmente vedo che la redditività potrà migliorare, se non con interventi progressivi di revisione al rialzo degli spread di offerta. In questa situazione, sono le grandi banche a giocare un ruolo di price maker di mercato e la mia aspettativa è che nel corso dei prossimi trimestri si muoveranno adattando l’offerta per far fronte alle imprescindibili esigenze di profittabilità, con le banche di minore scala a seguire subito dopo. Se però la Bce lanciasse effettivamente un nuovo TLtro, è probabile che i prossimi rialzi avverranno tra 9-12 mesi». Sarebbe una ulteriore bella notizia per le famiglie. Senza dimenticare che, oltre ai tassi dei mutui straordinariamente favorevoli, anche lato prezzi la situazione pare eccezionale e rende il periodo attuale particolarmente interessante per chi vuole acquistare una casa. Il mercato immobiliare ha chiuso il 2018 segnando una riduzione del prezzo al mq pari al -1,4%. Dal 2011 il calo medio dei prezzi è vicino al 25%. Dopo gli spread sui mutui, anche i prezzi delle case potrebbero quindi aver toccato il fondo.