Cessione del quinto

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La cessione del quinto dello stipendio è una particolare tipologia di prestito personale che non prevede un rimborso classico con addebito dell'importo su conto corrente (R.I.D.) o bollettino postale, come per le comune forme di finanziamento: l'estinzione del debito, infatti, avviene tramite una trattenuta diretta di una quota dello stipendio (o del salario) percepito dal debitore. Il quinto (espressione pari al 20%) rappresenta sostanzialmente l'ammontare dell'emolumento, valutato al netto delle ritenute, che il lavoratore (o pensionato) decide di destinare al rimborso del prestito concesso da uno dei seguenti soggetti – in base a quanto stabilito dal D.P.R. 180/1950:

  • istituti di credito e di previdenza costituiti fra impiegati e salariati delle pubbliche amministrazioni;
  • Istituto nazionale delle assicurazioni e le società di assicurazione legalmente esercenti;
  • istituti e le società esercenti il credito, escluse S.n.c. e S.a.s.;
  • casse di risparmio ed i monti di credito su pegno.

Tipologia di prestito destinata inizialmente a tutte le categorie di lavoratori dipendenti dello Stato che del comparto para-statale, dal 2005 la possibilità di cedere parte della propria retribuzione è stata estesa anche ai pensionati di tutti gli enti previdenziali; anche i dipendenti delle aziende private possono accedere a tale forma di prestito, sebbene la banca o l'ente finanziario possa riservarsi la facoltà di richiedere ulteriori garanzie.

La trattenuta della rata direttamente dalla busta paga, in generale, riduce notevolmente il cosiddetto rischio di insolvenza volontaria del debitore: una volta prestato il consenso, infatti, decade per il cedente la facoltà di revocare il pagamento. Il datore di lavoro – obbligato per legge ad accettare una richiesta di cessione del quinto da parte di un dipendente – si assume quindi l'onere dell'estinzione, impegnandosi al pagamento della rata alla Banca e provvedendo a trattenere lo stesso importo dalla retribuzione mensile corrisposta al proprio dipendente.

In caso di cessazione o sospensione della busta paga (in caso di dimissioni, licenziamento, aspettativa ecc.), il datore di lavoro è legittimato a interrompere il pagamento della rata: non si assume, infatti, la responsabilità del corretto pagamento del prestito ma semplicemente l'incarico al pagamento. In caso di dimissioni o licenziamento, invece, dovrà trattenere ogni somma maturata dal dipendente presso l'azienda (liquidazione, ultimo stipendio, tredicesima, ferie non godute, ecc.) e versarla alla banca erogante per estinguere totalmente o parzialmente il debito residuo.

Gli elementi finanziari di questa operazione – comuni a qualsiasi altro prodotto di finanziamento – possono essere così riassunti:

  • l'importo della rata, determinato entro una soglia massima pari al quinto dello stipendio percepito, resta fisso per l'intero periodo di ammortamento;
  • la durata del finanziamento è stabilita entro un massimo di 120 mensilità (10 anni), compatibilmente con il termine del rapporto di lavoro o la data di pensionamento: in quest'ultimo caso, la scadenza non può eccedere il 90º anno di età, anche se nella prassi attuale molte compagnie di assicurazione limitano il rischio assumendo prodotti con un massimo di 85 anni mentre alcuni gruppi bancari, ricorrendo al fondo previdenziale INPDAP, riescono ad arrivare fino ad un massimo di 95 anni;
  • obbligo di copertura assicurativa a tutela dell'intermediario finanziario che eroga il finanziamento nei casi di morte e di perdita del lavoro.
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